Copyright nell’Era dell’IA: Un Nodo Cruciale

In un mondo dove basta scrivere un prompt per ottenere un quadro in stile Monet o un jingle in stile Beatles, sorge spontanea una domanda: di chi è davvero quel contenuto? E soprattutto: chi ha autorizzato l’IA a usare quell’ispirazione?

Indice

  1. Indice
  2. Cos’è il Copyright e perché è nato?
  3. Come l’IA impara: cosa c’è davvero dietro la creatività artificiale?
  4. È giusto addestrare l’IA con opere protette da copyright?
  5. Chi è autore di un contenuto generato da IA?
  6. Cosa si potrebbe fare?

Il copyright nasce per tutelare la creatività umana: riconosce a chi crea un’opera il diritto di essere identificato come autore e, soprattutto, di essere remunerato per il proprio lavoro. Non è una formalità astratta né una barriera burocratica: è ciò che permette a scrittori, musicisti, illustratori, giornalisti e artisti di ogni tipo di vivere del proprio mestiere, di proteggere le proprie idee e di decidere come e dove circolano le loro opere. È, insomma, la base economica ed etica della produzione culturale.

Come l’IA impara: cosa c’è davvero dietro la creatività artificiale?

L’intelligenza artificiale generativa non inventa: assimila. Si nutre di enormi quantità di dati esistenti — libri, articoli, quadri, brani musicali — e li trasforma in qualcosa di nuovo, ma non così nuovo come si potrebbe pensare. Il suo “talento” nasce dall’imitazione: riconosce schemi, stili, tendenze, e li riassembla in modo credibile.

Facciamo qualche esempio. Potresti chiedere all’IA di scrivere poesie nello stile di Bukowski, generare illustrazioni ispirate all’arte di Dalì, o comporre brani che ricordano Eminem in ogni nota. Il risultato può affascinare, divertire, perfino emozionare. Ma dietro questa magia c’è una domanda scomoda: quanto di ciò che produce è davvero suo? E quanto è stato semplicemente preso — senza permesso — da qualcun altro?

Questa è la vera domanda etica e legale. Le aziende tech sostengono che addestrare modelli su contenuti protetti rientri nell’uso equo (fair use). Ma questo concetto è americano, flessibile e non universalmente valido.

Prendiamo due esempi eclatanti. Il New York Times ha avviato una causa contro OpenAI e Microsoft, accusandole di aver utilizzato articoli protetti da copyright per addestrare ChatGPT senza alcuna autorizzazione. Il quotidiano afferma che il modello è in grado di rigenerare articoli quasi identici a quelli pubblicati, una violazione diretta del diritto d’autore.
Un altro caso emblematico è quello tra Getty Images e Stability AI. Getty ha intentato una causa dopo aver scoperto che milioni di sue immagini erano state utilizzate per addestrare il generatore di immagini Stable Diffusion, senza alcuna licenza. In alcuni output, il watermark di Getty era addirittura ancora visibile, a dimostrazione del fatto che l’IA non stava solo “ispirandosi”, ma stava letteralmente copiando.
Il principio fondamentale è semplice: se serve una licenza per usare un contenuto in un sito o in un libro, perché non per addestrare un algoritmo? Gli autori hanno diritto a essere informati, riconosciuti e compensati. Alcune proposte suggeriscono royalty o licenze specifiche per l’uso nei dataset, ma al momento mancano leggi chiare e vincolanti a livello globale. E questa zona grigia normativa al momento fa comodo alle grandi aziende tecnologiche che sviluppano modelli di IA, che possiedono i dati, i server e le risorse legali per muoversi indisturbate.

Chi è autore di un contenuto generato da IA?

Un altro dilemma cruciale: un’ opera generata da IA può essere protetta da copyright? La risposta attuale, in molti Paesi, è no. Negli Stati Uniti, il Copyright Office ha rifiutato la registrazione di un’immagine creata con Midjourney, perché mancava l’apporto creativo umano. In Europa, la Direttiva Copyright riconosce il diritto d’autore solo se c’è creatività umana.

Quindi: se l’IA crea un’opera e nessun essere umano interviene in modo creativo, non c’è diritto d’autore. Se invece l’umano fornisce input rilevanti e interviene sul risultato, può esserci tutela. Ma anche questa è una zona grigia, sfumata, e soggetta a interpretazioni. Il paradosso è che potresti generare qualcosa di geniale, ma senza poterlo rivendicare.

E non solo. Potresti violare i diritti d’autore di qualcun altro senza nemmeno rendertene conto. Se l’IA ha imparato da opere protette e ne riproduce lo stile o parte dei contenuti in modo troppo fedele, il problema potrebbe impattare anche su chi pubblica, e non solamente sull’algoritmo. Anche in questo caso, non sono presenti regole chiare.

Cosa si potrebbe fare?

Quello che segue è, ovviamente, il mio punto di vista. Non ho risposte definitive, ma alcune idee su cui riflettere.

Forse il vero problema è che stiamo applicando concetti del secolo scorso a una tecnologia che li sta frantumando. Il copyright, così com’è, è nato per proteggere un autore umano che crea con strumenti fisici e in tempi definiti. Ma oggi ci troviamo davanti a sistemi che producono migliaia di output in pochi secondi, a partire da dati raccolti in maniere poco definite. Serve una nuova logica.

Secondo me, un primo passo sarebbe rendere trasparenti i dataset di addestramento: se l’IA ha “imparato” da qualcosa, dovremmo poterlo sapere. In secondo luogo, creare sistemi di licenza chiari e accessibili, che permettano agli autori di scegliere se e come le loro opere possono essere utilizzate nei dataset.

Infine, credo sia importante chiarire che usare strumenti di intelligenza artificiale non toglie valore all’atto creativo. Un artista può usare ChatGPT, Midjourney o qualsiasi altro tool per esprimere un’idea, raccontare qualcosa di nuovo, dare forma a una visione personale. In questo senso, mi trovo d’accordo con l’approccio europeo: un’opera può essere protetta dal diritto d’autore anche se creata con l’ausilio dell’IA, purché ci sia un contributo umano rilevante e riconoscibile. L’originalità, infatti, non sta nello strumento, ma nell’intenzione e nelle scelte di chi lo usa. Non è l’uso dell’IA il problema, ma la trasparenza su come e da chi nasce ciò che chiamiamo “creazione”.


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AUTORE

Valentina Lanzuise

È una consulente informatica appassionata di intelligenza artificiale. In questo sito condivide guide pratiche e riflessioni sull’IA, esplorando come questa tecnologia può trasformare le attività giornaliere.

In un mondo dove puoi ottenere tutte le risposte, è importante saper fare le domande giuste.

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